La cucina sarda, varia e diversificata, spazia dalle carni arrostite, al pane, ai formaggi, ai vini, a piatti di mare e di terra, sia di derivazione contadina che pastorale, di cacciagione, di pesca e di raccolta di erbe spontanee. Viene considerata parte della dieta mediterranea, modello nutrizionale proclamato nel 2010 dall’Unesco tra i patrimoni orali e immateriali dell’umanità.
Molti dei piatti tradizionali sono nati dalla necessità dei pastori di allontanarsi per periodi lunghi da casa e portare con loro cibo che potesse mantenersi sia con il caldo che con il freddo, che fosse nutriente e facile da trasportare. E questo è uno dei motivi per cui nelle ricette sarde c’è una grande varietà di insaccati e formaggi.
Tra mari e monti…
Nella cucina tipica dell’oristanese e negli stagni di Cabras, si sente ancora l’antica influenza fenicia, ma anche quella pisana, soprattutto a Bosa dove sono molto apprezzate le anguille.
Gli stagni sono ricchissimi di pesce e dalle uova di questi si produce la bottarga di muggine – (uova di cefalo essiccate sotto sale) – che può essere consumata in sottili strisce condita con olio, oltre che con la pasta.
La cucina pastorale e contadina si basa su ingredienti molto semplici ed è molto varia: cambia da regione a regione, non solo nel nome delle pietanze, ma anche negli ingredienti.
Il pane carasau e le sue varianti, come il pane guttiau – (scaldato al forno con olio e sale oppure bagnato ed arrotolato). Il pane carasau è un pane unico al mondo: ha la forma di sottilissimi dischi molto croccanti, ottenuti attraverso una doppia cottura nel forno a legna.
Come antipasti, sono molto apprezzati i prosciutti di cinghiale, le salsicce e i prosciutti accompagnati da funghi, olive e formaggi, tra i quali il pecorino, fresco o stagionato, su casizzolu fresco o arrosto (sovente servito con miele) e il famoso Casu Marzu il formaggio con i vermi. Oltre ai vari prosciutti di cinghiale, sono molto apprezzate diverse qualità di pancetta, di lonza di maiale e di coppa.
I primi piatti tipici sono i malloreddus (gnocchetti di semola conditi con sugo e salsicce); i culurjonis (fagottini ripieni di ricotta e menta, oppure con un ripieno a base di patata, formaggio fresco e menta) is Lorighittas (una pasta preparata fin dall’antichità a Morgongiori, piccolo paese al centro dell’isola, intrecciando un doppio filo di pasta); il pane frattau – (pane carasau bagnato nel brodo, disposto a strati inframezzati con pecorino grattugiato e salsa di pomodoro e con sopra un uovo in camicia) e molte altre pietanze ancora!
I secondi piatti non sono molto elaborati e sono principalmente a base di carne. Il
maialino (porcetto o pulceddu), cotto allo spiedo o su graticole, servito poi in vassoi di legno e di sughero con foglie di mirto è il re della cucina pastorale sarda insieme agli arrosti di agnello, di capretto e di vitello.
La parte dolce della Sardegna: le Sebadas
Dopo questo viaggio nelle prime portate di un menu tipico sardo, arriviamo al dolce e, un dolce molto conosciuto in tutta l’isola, è Sa Sebada, un disco di pasta sottile che racchiude un ripieno di un particolare formaggio vaccino fresco (leggermente acidulo perché fili quando caldo) aromatizzato al limone, fritto e ricoperto di miele.
La seada viene prodotta ormai in tutta l’isola, infatti da qualche anno si stanno diffondendo anche versioni “commerciali” reperibili nelle grandi catene di distribuzione.
Ogni anno viene indetto da Laòre, agenzia per l’attuazione dei programmi regionali in campo agricolo e per lo sviluppo rurale appartenente alla Regione Sardegna, un ambìto premio per la migliore seada artigianale.
La seada è attualmente considerata un dolce anche se in origine rientrava tra le pietanze principali tanto da poter sostituire un secondo.
Gli ingredienti principali sono: semola, strutto, formaggio fresco acido (in sardo “casu furriau”), miele ed eventualmente scorza di limone grattugiata.
Il formaggio può essere vaccino, ma la ricetta originale nasce con il formaggio pecorino che risulta ideale nella preparazione di questo piatto. La seada va consumata fresca (entro uno-due giorni). Si frigge in abbondante olio, facendo molta attenzione a non bucare la sfoglia per evitare che entri l’olio o ne fuoriesca il formaggio fuso. Infine, la sfoglia va immersa in miele e servita su piatto immediatamente, prima che il ripieno si raffreddi e solidifichi.
Si accompagna egregiamente a vini dolci bianchi ed aromatici quali la Malvasia di Bosa, la Vernaccia di Oristano, i vini previsti nel disciplinare Vermentino di Gallura DOCG, il Vermentino di Sardegna e il Moscato di Sardegna.
Il Mirto di Sardegna
Infine, vi parliamo del famosissimo liquore al mirto. Il mirto è l’essenza della Sardegna, il liquore che caratterizza più di ogni altro la cucina dell’isola.
L’origine del mirto è incerta per non dire sconosciuta. Spesso raccontata dalla poesia greca e dalle opere degli autori romani, la storia del liquore è legata ai banditi sardi che contrabbandavano con la Corsica.
La preparazione del mirto è lunga ma abbastanza semplice ed è per questo che fino all’800 è stato solo un liquore casalingo: la ricetta del mirto prevede la macerazione delle bacche mature nell’alcol a 90 gradi per 40 giorni. Ci sarà poi un filtraggio e l’alcol aromatizzato con le bacche viene aggiunto a uno sciroppo di acqua e zucchero e quindi imbottigliato. Dopo un paio di mesi il mirto (che raggiunge una gradazione alcolica di 30-32 gradi) è pronto e allora potrà essere gustato, possibilmente ghiacciato.
Dal 1998 c’è una denominazione precisa per questo liquore: Mirto di Sardegna, perché il Ministero delle Politiche agricole lo ha riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale. Noto per le sue proprietà digestive, oggi si produce seguendo un disciplinare ben preciso, tutelato da un consorzio ma le origini del mirto sono molto antiche.